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Chi sono i “nativi digitali” e perché dovrebbero interessarci? Grandi o piccoli, siamo tutti immersi nella connessione continua e farne a meno sarebbe impensabile per qualcuno, ma siamo davvero preparati a gestire il surriscaldamento tecnologico globale? Dovremmo, perché l’interattività digitale è la nostra quotidianità e la famiglia e la scuola sono le prime a doversi adeguare, pena l’esclusione. Ma che ne è della comunicazione e della qualità delle relazioni “offline”?
Con il termine “nativi digitali”1 ci si riferisce alla nuova generazione di coloro che sono nati e cresciuti con le nuove tecnologie e che “parlano” il linguaggio digitale dei computer, di Internet e dei videogames (per dare un dato italiano, secondo i dati del Programma Generazioni Connesse, il 38% del campione intervistato comincia ad usare internet regolarmente tra i 9 e gli 11 anni). A questa si affiancano gli “immigrati digitali”, approdati dopo a questo tipo di linguaggio (con età compresa tra i 30 e i 55 anni) e i “tardivi digitali” (dai 55 agli 80 anni), che comprendono la maggior parte dei genitori di oggi e dei docenti e che, a volte, trovano difficoltà a comprendere il modo di fare, pensare e apprendere dei “nativi digitali”. Ad oggi si parla anche di generazione “always on” (sempre connessa, dall’inglese) o “Net Generation” e in questo articolo l’obiettivo è proprio quello di riflettere brevemente sull’impatto familiare e sociale di questo “divario digitale” tra generazioni.


I nativi digitali, più delle altre generazioni, vedono il mondo virtuale come un’estensione del mondo reale e imparano sempre più spesso attraverso l’interattività digitale. Immigrati e tardivi digitali, invece, non sempre utilizzano o riconoscono gli strumenti della Rete allo stesso modo. E’ chiaro che a entrare in crisi è il sistema familiare, così come quello scolastico, e da una crisi non si esce mai inalterati... L’unica cosa certa è il cambiamento e, d’altronde, ognuno di noi è stato nativo di qualcosa e ha imparato a conviverci.
I genitori di oggi devono imparare a riconoscere il gap generazionale (il divario, dall’inglese) che esiste tra loro e i figli se non vogliono esser tagliati fuori da quello che i nativi digitali fanno e sono nel “mondo virtuale”. Alcune realtà virtuali, infatti, sono in grado di inglobare e spesso sovrastare lo scorrere della vita reale. I dati riportati dal progetto italiano “Generazioni Connesse” (2015), sull’uso delle piattaforme internet, svelano un uso massiccio dei suoi vari strumenti già dalle prime fasce d’età e uno scarso controllo da parte degli adulti (nessuno controllo sulle modalità di utilizzo per il 56% degli adolescenti e il 33% dei bambini). La strategia dell’adulto rispetto a questo dato dovrebbe esser l’educazione e l’accompagnamento nell’esplorazione, perlomeno da una certa età in poi.

La docente del MIT (Massachusetts Institute of Technology) Sherry Turkle2, psicologa clinica esperta in queste tematiche, afferma che “internet ci fornisce nuovi spazi dove agire, se in modo imperfetto non importa. Così adulti e adolescenti usano la rete per esplorare la loro identità” e, a volte, la distinzione tra reale e non reale diventa effimera, considerando che tutto ciò che attiene alla sfera emotiva e sociale del privato assume caratteristiche di realtà per quella persona. Il fatto che questa esplorazione avvenga fuori da un contesto reale di interazioni non la rende meno significativa e per dare un’idea di questo basta citare l’esempio dei tanti casi di cyber bullismo e delle conseguenze emotive per i ragazzi coinvolti come vittime o bulli. L’Italia è tra i Paesi che più utilizza smartphone, tablet/pc di vario tipo ed è facile rendersi conto che il tempo online riduce le interazioni nel mondo “fisicamente reale”. Se si passa il limite e questo mondo parallelo diventa il privilegiato luogo di espressione e incontro, allora il pericolo è reale e i danni riguardano soprattutto la costruzione di un senso d’identità coeso e la giusta barriera tra privato e pubblico. Secondo la letteratura di settore3 4 5, l’identità personale emerge dal senso di continuità e coerenza tra le diverse esperienze di sé e dovrebbe implicare una “responsabilizzazione” verso i periodi critici di cambiamento.

Detto in altri termini, possiamo considerare l’identità di ognuno di noi come l’insieme delle varie caratteristiche che ci definiscono e che per loro natura sono mutevoli almeno in parte. Internet per la sua fluidità sembra il posto ideale dove poter sperimentare differenti versioni di se stessi, ma esporsi a questa possibilità senza un contenimento familiare emotivo e una rete amicale mina la costruzione di un senso d’identità sufficientemente solido e aumenta nei bambini e negli adolescenti il rischio di non sapere gestire i pericoli della Rete (grooming, pedopornografia, dipendenza, gioco d’azzardo, videogiochi, contenuti inadatti per l’età). La situazione si complica se consideriamo che tutti noi includiamo la tecnologia nella nostra vita e che la velocità è diventata una filosofia. Grandi e piccoli sono sempre più connessi e le famiglie italiane di oggi si ritrovano a fare i conti con sempre più impegni, scadenze e doppi lavori. Dov’è finito il tempo per “stare” con noi e con gli altri? In questa cornice bambini e ragazzi son lasciati più da soli e riempiono il vuoto temporale ed emotivo nel modo più semplice, ossia facendo quello che fanno tutti gli altri, connettersi. Connettersi, però, non è comunicare. A risentirne è il loro equilibrio emotivo nonché la loro capacità di riflettere e di tollerare le frustrazioni, dato che la tendenza all’agito (esprimere sentimenti e pensieri attraverso l’azione, piuttosto che col linguaggio) non viene sempre gestita in modo adeguato.


La prevenzione ovviamente sarebbe la strategia migliore, ma, come sottolinea l’Associazione ARPEA, l’intervento dell’adulto è spesso richiesto quando i ragazzi son già molto esposti e introdotti al mondo della Rete. In questa parte di mondo è difficile pensare a una regressione nello sviluppo digitale, soprattutto per i benefici che ci dà, di conseguenza l’unica strategia vincente è la conoscenza: una maggiore consapevolezza ed informazione permettono al genitore, o a chi per lui, di “allacciarsi” più facilmente al problema, così come ai ragazzi di contare su varie fonti di aiuto e sostegno. E’ responsabilità dell’adulto fornire ai nativi digitali gli strumenti per una navigazione il più sicura possibile. La rete esiste da più di vent’anni e questo ci porta a credere che sia matura o i suoi effetti conosciuti, ma non è così. La verità è che non sappiamo come saranno gli adulti che oggi sono i ragazzi dell’iperconnessione digitale. Ciò che è possibile fare riguarda il presente ed i possibili segnali che è importante riconoscere: se si presenta un progressivo distacco dalle normali attività quotidiane, o da quelle considerate interessanti fino a quel momento, allora è giusto considerarlo un campanello d’allarme.


La generazione dei trentenni di oggi (di cui fa parte chi scrive) si trova a cavallo tra le due generazioni suddette e vive nel presente tutti i risvolti positivi di un futuro che si prevede essere ancora più online e “di connessione”, ma una riflessione critica è necessaria ad ogni età. Il mondo sarà ancor di più alla nostra portata (e alla portata di un click) e tutto sembrerà sempre meno lontano, ma cosa succederà a tutto quello che è “realmente vicino” e ha bisogno di noi? Il rischio che si corre è quello di preferire la realtà simulata a quella fisica. Ad esempio, se inizialmente passare del tempo connessi alla rete può sembrare un modo per restare in contatto con persone lontane, in seguito questa modalità può diventare il canale preferenziale per istaurare e mantenere ogni tipo di rapporto. Alcune persone sono talmente esaltate dalla rappresentazione di se stessi nella vita online da provare un senso di insoddisfazione per le loro vite. A questo punto l’istruzione da ricordare come un promemoria è questa: accettare i limiti della tecnologia e amare noi stessi al punto tale da ammettere gli effetti che essa ha su di noi.

Giulia Ulivi

Sitografia:

Link del progetto “Generazioni connesse”, cofinanziato dalla Commissione Europea e coordinato dal MIUR in Italia, per consigli utili ai genitori e ai giovani:
http://www.generazioniconnesse.it/index.php
Per una lettura critica del tema in versione Docuserie Tv (Black Mirror) vedi : http://www.psicoterapiacomparata.it/images/quaderni/02/qpc_numerodue.pdf (pag. 165)

Riferimenti bibliografici:

1 - Prensky, M. (2001). Digital natives, digital immigrants part 1. On the horizon,9(5), 1-6.
2 - Turkle, S. (2011). Alone together: Why we expect more from technology and less from ourselves.
3 - Erikson E. H. (1968) Identity youth and crisis, Norton & Co, New York (trad. It. Gioventù e crisi di identità, Armando, Roma, 1974)
4 - Marcia J. E. (1980) Identity in adolescence. In: A. Adelson (ed.) Handbook of adolescent psychology, John Wiley & Sons, New York, pp. 159-187
5 - Berzonsky M. D. (2004) Identity processing style, self construction, and personal epistemic assumptions: a socialcognitive perspective. In: European Journal of Developmental Psychology, 1, pp. 303-315