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Mahsa Amini, volto del dissenso in Iran

La violenza contro le donne, nelle sue molteplici declinazioni, è un fenomeno diffuso in tutto il mondo e, nonostante le differenze culturali tra i vari paesi della comunità internazionale, questa appare quasi come una costante, sebbene possano esserci forme di violenza esclusive o più diffuse in alcuni contesti piuttosto che in altri.

In alcuni casi, la violenza contro le donne viene sì materialmente perpetrata da uomini, ma il vero carnefice sono le istituzioni politiche e religiose o una combinazione di entrambe, che introducono, o perpetuano, negli ordinamenti interni dei propri paesi, figure di reato, e relative pene, assolutamente discriminanti e lesive dell’integrità e della dignità di donne e ragazze.

Il caso che forse quest’anno ha fatto più scalpore è quello, tristemente noto, della morte della giovane curda iraniana Mahsa Amini, assassinata dalla polizia morale iraniana per aver indossato in maniera non conforme alla legge l’hijab, obbligatorio in Iran. La ragazza, fermata dalla polizia mentre passeggiava con i genitori per le strade di Teheran, è stata portata via con la forza dalle autorità, caricata su un’auto e condotta nel centro di detenzione di Vozara, tra violenze e percosse di una tale brutalità da farla andare in coma. Mahsa morirà tre giorni dopo, nell’ospedale di Kasra (1).

Le autorità iraniane hanno annunciato l’avvio delle indagini negando tuttavia qualsiasi illecito da parte della polizia, alimentando così l’indignazione e la rabbia della società civile, scesa in piazza a rivendicare maggiori diritti e libertà e a manifestare il proprio dissenso in merito alle discriminazioni e ai metodi brutali di un regime sempre più totalitario e misogino (2). Anche in questo caso, le autorità iraniane hanno risposto attraverso una selvaggia repressione, provocando la morte di più di cento manifestanti, molti dei quali minorenni, tra cui le sedicenni Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh, entrambe assassinate per aver preso parte ai cortei di protesta a seguito della morte di Mahsa.

Sebbene la violenza contro le donne venga spesso narrata e affrontata come una questione di natura meramente privata, le sue dimensioni e la sua portata necessitano di inquadrare il problema da un punto di vista culturale, sociale e addirittura politico. Tale fenomeno infatti non solo è largamente diffuso in tutto il mondo, ma viene spesso tollerato e addirittura legittimato da molti governi nazionali di diversi paesi in cui la donna è relegata ai margini della società e non è portatrice dei medesimi diritti degli uomini. Culture e strutture sociali patriarcali, legislazioni e pratiche discriminanti nonché l’ingerenza della politica e della Chiesa nella sfera privata, coi relativi tentativi di controllo del corpo della donna, contribuiscono a creare una società in cui donne e ragazze sono costantemente sminuite, mortificate ed esposte ad atteggiamenti discriminatori e pregiudizievoli tanto per la loro incolumità psico-fisica quanto per il rispetto dei loro diritti.

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne serve dunque, da una parte, a ricordare le vittime di ogni tipo di violenza basata sul genere e, dall’altra, a focalizzare l’attenzione di vari attori, nazionali e internazionali, su un problema sempre più diffuso e drammatico, in un’ottica di cooperazione che renda le donne protagoniste del proprio empowerment.

di Roberta Carbone

 

(1) https://www.amnesty.it/appelli/iran-proteggere-il-diritto-di-protesta/

(2) https://www.affarinternazionali.it/mahsa-amini-e-il-regime-svelato-tornano-le-proteste-in-iran/